RAFAEL CANOGAR. OPERE 1967-68
Ci sono dei momenti in cui si rivive prepotentemente il passato, riemergono episodi cruciali della propria vita. La mostra di Rafael Canogar che propongo oggi appartiene a questa reminiscenza.
Correva l’anno 1958. Mio padre ed io, che lavoriamo fianco a fianco a L’Attico, la nostra galleria aperta da appena un anno, visitiamo la Biennale d’arte di Venezia e nel padiglione spagnolo ci imbattiamo nei dipinti del giovanissimo Rafael Canogar, che espone accanto ad artisti già affermati come Antoni Tàpies. Rafael ha soltanto ventitré anni, mentre io Fabio ne ho diciannove, e mio padre Bruno quarantotto. Siamo tutti e tre, in un modo o nell’altro, agli albori della nostra avventura nell’arte, immersi nel linguaggio pittorico allora dominante: l’informale.Una poetica fondata su gesto, materia e segno, da cui era bandita la figura. L’informale, per certi aspetti, passava per astrazione pura, anche se non lo era. Un esempio su tutti: gli Otages di Fautrier.
La vitalità del gesto nei quadri di Canogar si accompagnava ad una raffinata materia pittorica, molto personale per la sua giovane età. Mio padre ed io ci diciamo: dobbiamo prenderlo con noi. E così Canogar entrò a far parte degli artisti de L’Attico e lo sarà con successo per molti anni a venire.
Finché, nel 1964, irrompe in Europa il fenomeno americano della pop art, che ha la sua consacrazione proprio alla Biennale di Venezia, dove aveva trionfato il decennio prima l’informale. I giovani artisti la accolgono con entusiasmo, i meno giovani entrano in crisi.
Ma Rafael ha solo ventinove anni! Si affaccia cosi nei suoi dipinti la figurazione, soggetti che prendono spunto dai media, astronauti, corse di formula uno, proteste di piazza, persino il funerale di Kennedy. Hanno un’impronta fotografica, ma intrisi ancora di materia pittorica.
Nel 1967/68 il pittore si spinge oltre, diventa via via più radicale. Ambisce all’oggetto, a una rappresentazione che abbina il valore della superficie a una concretezza tridimensionale.
L’immagine si conquista uno spazio scenico. Chi guarda non si limita a contemplare l’opera, ma viene risucchiato da questi dipinti aggettanti. Non è ciò che avviene oggi con l’installazione?
Perciò ho inserito questa mostra, con opere esclusivamente di quel periodo, come la prima di una serie che ho chiamato Arte da teatro. È un omaggio all’ormai novantenne Rafael, a quella sua svolta coraggiosa che lo affrancò dall’informale.
Da quasi coetaneo, poggiandogli idealmente la mano sulla spalla, mi sento di dirgli: Rafael, tu eres mi hermano mayor.